I segreti dell’influencer marketing

Quali sfide comporta per il marketing di un brand investire sul ‘canale’ Influencer? Non basta stanziare un budget: occorre strutturarsi in modo coerente con le caratteristiche di un ‘pianeta’ dove canale, agenzia creativa e testimonial sono fusi in una unica personalità.
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Di seguito un estratto dell’articolo sull’influencer marketing pubblicato su Uptrade di novembre (n. 11). Per leggere il testo integrale clicca QUI oppure scarica la versione digitale dall’app di Uptrade su su Apple Store, o Google Play o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.

Nei media mix di molte aziende è apparsa una nuova voce: ‘influencer marketing’ che erode quote sempre maggiori di budget ad altre voci (in qualche caso si arriva al 50% dell’investimento totale in comunicazione). Nell’influencer marketing gli obiettivi sono perseguiti attraverso la collaborazione di un ‘canale’: gli influencer appunto o meglio i ‘creator’, come si preferisce chiamarli ora. C

Cosa porta l’influencer al brand.

L’influencer porta non porta al brand solo una ‘sua’ base di follower: persone che seguono i contenuti che l’influencer posta su una piattaforma (Instagram in primo luogo o Tik Tok ma ci sono anche il ‘vecchio’ Youtube e il ‘muovo’ Twitch), non è solamente un ‘media’. È insieme un media e una agenzia creativa, in quanto mette al servizio del brand la sua capacità di comunicare seguendo al meglio le logiche del canale e le esigenze dei suoi follower: capacità rare, molto difficili da trovare in una agenzia creativa. In terzo luogo l’influencer porta al brand la sua notorietà (in questo ricorda i classici ‘testimonial’). A differenza del testimonial, che mette in gioco solo la sua notorietà, l’influencer ‘presta’ al brand il legame ‘personale’ di fiducia che lo lega ai follower; gli permette appunto di influenzare i consumatori.

Un arduo equilibrio.

A differenza dei media, delle agenzie e dei testimonial, i quali generalmente si adattano completamente alle esigenze del cliente, gli influencer hanno una loro ‘missione da compiere’: uno stile di comunicazione e un percorso che devono difendere e promuovere. Dopotutto gli influencer sono divenuti tali grazie a mesi, a volte anni, di impegno nella creazione di contenuti e nello sviluppo della loro base di follower.
Cercano quindi il punto di equilibrio fra le esigenze del brand e quei valori e quelle skill che li hanno resi una personalità su uno o più social media, garantendogli un seguito misurabile nel caso di un micro influencer in alcune centinaia di migliaia di follower, di milioni nel caso dei creator più noti. Questo equilibrio, così come la necessità di adeguare la comunicazione alle logiche spesso molto specifiche e in veloce mutamento della piattaforma, rende difficile e spiazzante il lavoro del dipartimento marketing di un brand e dei suoi consulenti.

Per raggiungere audience ‘difficili’.

Per quale ragione allora un numero crescente di marchi sceglie di investire in influencer marketing? Perché si tratta di un canale ancora relativamente poco costoso rispetto ad altri e soprattutto perché “permette di raggiungere audience difficili da intercettare attraverso media tradizionali come la TV”, come nota Gianluca Perrelli, Ceo di Buzzoole, una società specializzata nell’influencer marketing,
Una quota importante dei consumatori infatti accede molto raramente a media off line come carta e tv e all’interno del mondo on line privilegia i social media. A questo si aggiunge la natura particolare degli obiettivi che si possono raggiungere con l’influencer marketing non la semplice brand awareness e nemmeno la conversione (vale a dire il passaggio dalla fruizione del messaggio a una azione come per esempio l’acquisto). Con l’influencer marketing si può puntare a creare una base di ‘brand lover’.

Obiettivo: brand lover.

Nelle aziende più avanzate si è compresa l’importanza del rapporto personale con l’influencer. Non si tratta di un semplice testimonial che si limita a passare un pomeriggio in uno studio fotografico o su un set. I creator sono e rimangono persone in carne e ossa e quindi difficilmente controllabile fino in fondo. L’influencer per essere convincente deve essere convinto. A tal fine molti manager tendono a sviluppare una relazione diretta, con programmi di nurturing che puntano a farli diventare brand lover facendo conoscere loro l’azienda e le persone, le sfide che affronta sul mercato, i clienti, perfino i luoghi di produzione.

La sfida dei micro-influencer.

La tendenza più recente è il coinvolgimento di centinaia di micro influencer. Il micro-influencer non è un ‘piccolo’ influencer, non è un/ una Chiara Ferragni in sedicesimo. Si tratta di personalità che pur avendo magari ‘solo’ 50- 100 mila follower godono di una assoluta leadership in una nicchia molto precisa. I micro influencer sono visti come esperti, capaci di produrre contenuti autorevoli e credibili, portatori di pubblici attenti, anche se di nicchia, nonché volti nuovi meno sfruttati commercialmente. In termini di rapporto fra costo e risultato il micro-influencer è in sé conveniente. Il lato difficile è che una campagna può richiedere lo ‘schieramento’ di decine di micro-influencer che vanno gestiti individualmente.

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