Ancora una volta l’attuale scenario di mercato costringe a delle riflessioni. Volendole sintetizzare, occorre che il canale imprima una spinta forte sul modello distributivo, evitando le logiche da bazar che ultimamente si stanno moltiplicando, per abbracciare un format più coerente col retail specializzato. Un esempio: sono sempre più le categorie che transitano dai siti pure player.
Si pensi al piccolo elettrodomestico, oltre il 20% del giro d’affari passa dall’e-commerce (Amazon, chiaramente in testa), con punte che – per alcune categorie a più alto potenziale – s ora addirittura il 50%. È chiaro che il rischio che si consolidi un ‘monopolio’ è alto, e andrebbe a svantaggio di tutta la liera, a partire dal trade che perderebbe fatturato e l’industria che si troverebbe sempre di più a dover dipendere dalle condizioni dettate da un’unica insegna. Cosa fare dunque? Certamente continuare il dialogo tra i partner per cercare soluzioni congiunte e rivedere la politica espositiva. Per quest’ultimo punto (ed emerge anche dall’indagine di UpTrade e AstraRicerche pubblicata sullo scorso numero) bisogna ripartire dall’esposizione in store, che è ancora per molti versi massi cata.
Ci spieghiamo meglio: facendo un giro in qualsiasi punto vendita è facile trovare 20 mixer a immersione uno dietro l’altro (e lo stesso vale per ferri da stiro, spazzolini elettrici, piastre per i capelli, ecc…) posti su un ‘anonimo’ scaffale, senza una logica chiara e comprensibile. Questo non è di certo un buon servizio al consumatore che non capisce quello che vede e soprattutto fatica a comprendere la differenza tra i singoli articoli. A mancare sembra essere un pensiero ragionato sulle singole categorie. E il trade, che investe soldi e tempo, nell’esperienza di acquisto – tranne in alcuni casi – sembra ancora fermo a 20 anni fa…
Diversi manager dell’industria affermano che, se le insegne continueranno a ‘fare il verso ad Amazon’, esponendo un numero eccessivo di codici, senza valorizzare il singolo prodotto, signi cherà che non è stato compreso appieno il vero mestiere del retail. Perché il pure player non pratica alcuna politica espositiva, chi comanda è il motore di ricerca, mentre nello store la logica è esattamente opposta.
Chiaro che l’industria ha il suo punto di vista… ma chiediamoci: che rischio corre realmente il canale? Che lo shopper faccia sempre più fatica a valutare signi cativamente l’esperienza nel punto vendita e Amazon ne approfitti sempre di più. Abbiamo già capito da anni che occorre ripensarsi per essere sempre più attrattivi agli occhi di chi entra in negozio e dei clienti che vanno ‘recuperati’. Ma bisogna agire velocemente e investire per rendere tutti i reparti al massimo della redditività.
Vito Sinopoli
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